Trib. Pavia, 26 aprile 2018

Oggetto del provvedimento.

La vicenda giudiziaria in esame trae origine da un caso di infortunio sul lavoro per mancata attuazione e adeguamento delle misure di sicurezza nell’esecuzione di un contratto d’appalto di servizi.

In particolare, con la sentenza in commento il Tribunale di Pavia in composizione monocratica ha escluso, ex art. 66 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, la responsabilità amministrativa della società appaltante perché il reato colposo presupposto è stato commesso da soggetto che non riveste la qualità di cui all’art. 5, co. 1°, lett. a) e b) d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231.

Per converso lo stesso giudice ha ritenuto provata la responsabilità penale a titolo di colpa dell’amministratore della società appaltatrice, affermando per l’effetto la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi degli artt. 5, co. 1°, lett. a), 9, 25 septies d.lgs. 231/01.

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Contenuto del provvedimento.

Il processo giunto innanzi il Tribunale di Pavia in composizione monocratica vedeva coinvolti l’amministratore unico di una società affidataria del servizio di carico e scarico merci e il direttore/responsabile del sito logistico della società appaltante i quali, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero colposamente cooperato tra loro nel cagionare l’infortunio sul lavoro occorso ad un dipendente della società appaltatrice da cui erano derivate lesioni personali con un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 60 giorni.

Più nel dettaglio, al capo a) di imputazione la Procura della Repubblica contestava ai due imputati il delitto previsto e punito dagli artt. 40 cpv., 113, 590, co. 1°, 2° – in relazione all’art. 583, co. 1° n. 1) -, e 3° c.p., mentre al capo b) di imputazione chiamava in causa anche la responsabilità amministrativa degli enti in quanto la condotta era stata tenuta nell’interesse e a vantaggio dell’ente da soggetti con veste qualificata all’interno dell’organigramma societario in conformità al combinato disposto degli artt. 5, co. 1°, lett. a), 9 e 25 septies co. 3° del d.lgs. 231/2001.

Esaurita l’istruttoria dibattimentale, il giudice affermava la penale responsabilità a titolo di colpa del solo amministratore della società appaltatrice, sia per profili di colpa generica, che di colpa specifica consistita nella specie: a) nel mancato inserimento nel POS aziendale (art. 100 d.lgs. 81/2008) di indicazioni specifiche volte a curare e cautelare gli aspetti di rischio venuti in rilievo nel caso in esame in relazione ai quali la sola affidataria era contrattualmente obbligata; b) nell’aver omesso di fornire all’addetto infortunatosi i dispositivi di protezione individuale (art. 18, co. 1, lett b), d.lgs. 81/2008, nella specie le scarpe antinfortunistiche; c) nell’aver completamente trascurato sino a quel momento sia la formazione che l’informazione generale di quel lavoratore in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 37, co. 1 lett. b), d.lgs. 81/2008).

Da ciò conseguiva anche l’affermazione della responsabilità amministrativa in capo all’ente in quanto il reato in questione era stato commesso da soggetto apicale, “ed anzi, dal vertice aziendale” e poiché l’ente avrebbe ottenuto da tale condotta un vantaggio di spesa “riveniente dall’adozione di una politica di impresa in materia di sicurezza assolutamente trascurata e sciatta”. Con tale motivazione, dunque, il Tribunale di Pavia in composizione monocratica in primo luogo aderisce all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in forza del quale, in applicazione del combinato disposto degli artt. 5 e 25septies del d.lgs. 231/2001, la sussistenza dell’interesse o vantaggio dell’ente si deve innanzitutto accertare in relazione non tanto all’evento verificatosi, quanto alla condotta colposa realizzata da un soggetto che abbia un rapporto qualificato con l’ente. Inoltre, sempre al fine di ovviare alle difficoltà di coordinare i criteri di determinazione della responsabilità dell’ente con la realizzazione di reati di omicidio e lesioni colpose, tale orientamento prescrive che il vantaggio di cui all’art. 5, co. 1° venga identificato con il risparmio di spesa che l’ente realizza nel non investire nelle misure precauzionali necessarie nonché nel risparmio di tempo – con correlato aumento della produttività – che consegue alla velocizzazione dell’attività lavorativa altrimenti rallentata dalla necessità di osservare attentamente tutte le regole di cautela (ex multis, Cass. Pen. Sez. IV, 20.4.2016, n. 24697; Cass. Pen. Sez. IV, 13.09.2017, n. 16713).

In secondo luogo, la motivazione in esame risulta forse ancor più rilevante nella parte in cui il Tribunale di Pavia in composizione monocratica assolveva il direttore/responsabile del sito logistico dell’impresa appaltante ritenendo che, alla luce delle risultanze processuali, “fossero del tutto smentiti i profili colposi contestati”.

A tale riguardo giova innanzitutto ricordare che inizialmente la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia – che ad esito del processo chiedeva l’assoluzione dell’imputato – aveva contestato al responsabile del sito logistico dell’impresa committente sia profili di colpa generica che profili di colpa specifica individuati nello specifico nella mancata cooperazione con la società appaltatrice all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto ed evidenziate nel DUVRI nonché nel mancato coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi interferenziali ex art. 26, co. 2°, lett. a) e b) d.lgs. n. 81/2008.

Invero, alla luce dell’istruttoria dibattimentale era emerso in primo luogo che nell’area in cui si era verificato l’infortunio non esisteva alcun rischio interferenziale. In secondo luogo, era altresì emerso che nel DUVRI, che la società appaltante aveva comunque regolarmente predisposto, era stata espressamente evidenziata la necessità che fossero le imprese affidatarie a prevedere nei rispettivi POS un’adeguata trattazione dei pericoli della stessa natura di quello verificatosi nel caso di specie. A dispetto di ciò, la società affidataria che per contratto era l’unica responsabile per tali incombenti era risultata inadempiente rispetto a tale obbligo. Infine, era emerso che gli addetti di tutte le aziende commissionarie che operavano in quello specifico sito avrebbero avuto a disposizione sia ribalte con pedane idrauliche (come quella utilizzata dal lavoratore che subiva l’infortunio) sia banchine con pedane fisse (maggiormente consone per l’operazione da cui era derivato il sinistro), segnalando così che la scelta in questione era dipesa esclusivamente da determinazione dell’impresa affidataria.

Da ciò conseguiva l’assoluzione dell’imputato con la formula “non ha commesso il fatto” a dispetto della richiesta del pubblico ministero di un’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.

Tale precisazione sulla formula assolutoria non è meramente terminologica e priva di rilievo in quanto è proprio su tale base che, attentamente, il Tribunale di Pavia, con specifico riferimento alla responsabilità dell’ente in ipotesi di infortunio sul lavoro occorso in esecuzione di contratto d’appalto di servizi, concludeva affermando il principio secondo il quale “essendo stata individuata una responsabilità colposa per la produzione dell’evento lesivo occorso al lavoratore [….] in capo al solo amministratore della cooperativa affidataria, deve essere esclusa la responsabilità amministrativa ascritta alla appaltante, poiché il reato presupposto non è stato commesso da un soggetto apicale”. L’integrazione di una fattispecie criminosa inserita nell’elenco dei reati presupposto, dunque, non giustifica di per se stessa l’automatismo nell’attribuzione della responsabilità amministrativa in capo all’ente nemmeno quando a venire in rilievo è un contratto bilaterale di appalto di servizi.

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Osservazioni conclusive.

In conclusione si ritiene opportuno osservare che, con specifico riferimento alla assoluzione della società appaltante perché il reato colposo presupposto è stato commesso da soggetto che non riveste la qualità di cui all’art. 5, co. 1°, lett. a) e b) d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, la sentenza in commento è condivisibile e degna di menzione. Il Tribunale di Pavia in composizione monocratica infatti, nell’esaminare compiutamente le condotte poste in essere dagli imputati e la loro posizione rispetto ad entrambi gli enti coinvolti, ha richiamato l’attenzione su un principio fondamentale in tema di imputazione obiettiva dell’illecito all’ente: affinché possa ritenersi affermata la responsabilità amministrativa ex art. 5 d.lgs. 231/2001, ancor prima di verificare se il soggetto abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente, è necessario accertare la realizzazione di un reato integrato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi da parte di un soggetto che abbia un rapporto qualificato con l’ente medesimo. La distinzione tra le categorie di soggetti indicati alle lett. a) e b) dell’art. 5, co. 1°, infatti, non è meramente dogmatica o classificatoria oppure connessa esclusivamente alla successiva applicazione dei criteri di imputazione soggettiva tipizzati e differenziati dagli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001. Invero essa sottende che, in assenza di tali qualifiche, un reato pacificamente integrato in tutti i suoi elementi materiali e psicologici, non potrebbe mai essere ricondotto anche all’ente quanto meno per difetto del rapporto di immedesimazione organica.

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Collegamenti giurisprudenziali.

Non si sono rinvenuti precedenti specifici con riferimento alla assoluzione della società appaltante perché il reato colposo presupposto è stato commesso da soggetto che non riveste la qualità di cui all’art. 5, co. 1°, lett. a) e b) d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231.

Sull’individuazione dell’interesse e vantaggio dell’ente in caso di reati colposi di cui all’art. 25 septies d.lgs. 231/2001, oltre alle pronunce indicate nel testo: Cass. Pen., sez. IV, 17.12.2015, n. 2544; Cass. Pen. Sez. IV, 23.06.2015, n. 31003; Cass. Pen. Sez. Un. 24.04.2014, n. 38343.

Sulla responsabilità dell’ente anche in caso di assoluzione dell’autore del reato presupposto: Cass. Pen., Sez. VI, 25.10.2017, n. 49056; Cass. Pen., Sez. I, 2.09.2015, n. 35818.

Tratto da http://www.dpei.it

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